PRESENTAZIONE
Il libro che siamo lieti di presentare è un’importante
documentazione coeva, sul modo di vivere, sulle consuetudini, sulle tradizioni
e sui problemi della vita nelle campagne piemontesi di metà Ottocento,
realizzata da Antonio Gallenga, uno scrittore e giornalista d’eccezione, che
diventerà una delle firme più prestigiose del Times di Londra.
Pubblicato a Londra nel 1858, Country life and Piedmont non fu mai tradotto in italiano, in
quanto l’Autore lo ideò per il pubblico inglese. Questo libro non è un trattato sociologico
sulla vita dei contadini, né tanto meno un’inchiesta agraria, è molto di più, è
un reportage, una corografia, un realistico ritratto della società subalpina di
metà Ottocento, scritto senza indulgenza alcuna, con la conoscenza di un nativo ed allo stesso tempo lo sguardo
distaccato di uno straniero.
Antonio Gallega struttura i capitoli del libro sotto forma
di lettere indirizzate all’amico giornalista Marmion Savage e ad esclusione
della prima, sono datate da Castellamonte,
luogo della sua residenza. Esse coprono un periodo che va da settembre a gennaio e pur non riportando l’anno, esso è
sicuramente il 1857-58.
Uomo di cultura e patriota, quando approda a Castellamonte e
scrive questo libro, Gallenga è un uomo
di mezza età, nel pieno della sua maturità intellettuale. Le vicissitudini
della vita lo avevano già portato in
giro per l’Italia e per il mondo.(vedere biografia alla fine del libro). Era
stato in America, a Boston, dove aveva frequentato la dotta comunità degli
esuli italiani e gli intellettuali
locali come Henry W.Longfellow e William H. Prescott, ottenendo una
discreta posizione nell’insegnamento.
Nonostante ciò, il suo carattere irrequieto, lo portò a
lasciare il Nord America per l’Inghilterra.
Riprese una nuova vita e anche qui non tardò ad affermarsi
come scrittore e giornalista. Dopo aver acquisita un’invidiabile padronanza
della lingua inglese, gli anni trascorsi nei paesi anglosassoni, ne plasmarono
il carattere e la mentalità, facendo di lui un perfetto inglese.
Il suo cuore però, era, e rimase italiano: in Inghilterra
frequentò Mazzini e gli esuli italiani e si adoperò con articoli e conferenze a
sostenere la causa dell’Unità d’Italia presso l’opinione pubblica inglese.
Dopo la clamorosa rottura con Mazzini, Cavour, per
assicurarsi l’appoggio di una penna prestigiosa in campo internazionale e un
autorevole appoggio alle previste campagne militari del Piemonte (guerra di
Crimea), lo invitò a venire in Piemonte; nel 1854 ne favorì l’elezione a deputato al
Parlamento Subalpino.
Antonio Gallenga, stabilitosi a Castellamonte dove era nato
suo padre, iniziò la costruzione di una bella villa sulla collina che domina il
borgo, ma nonostante gli impegni parlamentari a Torino, non recise i suoi
rapporti con l’Inghilterra dove
mantenne molteplici interessi.
All’epoca era corrispondente da Torino del “Daily News” e
percorse, anche a piedi, il Vercellese e il Biellese per completare una ricerca
sull’eresia di Fra Dolcino, un argomento al quale il pubblico inglese era molto
interessato e che il Gallenga asseconderà con una libro in inglese.
Contemporaneamente preparò, su invito di Cavour, “History of Piedmont”, la
storia del Piemonte, che sarà presentata a Londra nel 1855, in occasione della
visita di re Vittorio Emanuele II alla regina Vittoria.
L’anno successivo i tre volumi di “Storia del Piemonte”
verranno pubblicati anche in italiano, procurando all’Autore molti problemi,
che saranno la causa del suo abbandono della carica di deputato e del suo
successivo rientro in Inghilterra.
Il 1857, quando inizia la scrittura del libro, non è per Gallenga un anno felice: la politica italiana
lo aveva profondamente deluso, un paio di anni prima la sua giovane moglie era
morta di scarlattina ed ora si ritrovava solo in una casa posta in cima ad una
collina a mezzo miglio dal paese, ancora da completare e soprattutto, troppo
grande e vuota per lui.
Visse in quell’anno una sorta di pausa esistenziale, di
volontario esilio nella quieta campagna canavesana, con gli amici castellamontesi,
che lo rispettavano e gli erano fedeli, ma che probabilmente faticavano a
comprendere il suo modo di porsi e la sua mentalità, così diversa dalla loro e
quindi giudicata bizzarra.
Di politica non voleva più parlare, quindi di sua iniziativa
o sollecitato dall’editore inglese, scrisse un libro, dove la sua contingente
esperienza di vita fu occasione per raccontare agli inglesi, che proprio in
quegli anni scoprono il fascino delle vette, la bellezza delle Alpi e dei laghi
del nord Italia, la vita, il carattere e le abitudini della gente di questo
piccolo Stato Sardo-piemontese, che si stava affacciando alla ribalta
internazionale.
Coutry life in
Piedmont offre deliziose impressioni
paesaggistiche, che assumono il carattere di una coreografia. (il Gallenga,
grande passeggiatore ed escursionista, aveva girato le Alpi Graie e Pennine in
tutta la loro estensione), conosceva già le bellezze delle loro valli avendole
girate in lungo e in largo, ma sempre viaggiando, come un signore inglese al
quale la gente guardava con soggezione,
riservandogli tutte le attenzioni, non aprendo però mai le loro case, né
tantomeno i loro cuori.
Antonio Gallenga durante l’estate, dotato di qualche lettera
di presentazione, iniziò le sue lunghe escursioni, lasciando a casa il “cappello inglese da viaggio, per indossarne
uno da brigante” che, rendendolo esteriormente più simile ai locali, favoriva il dialogo e la confidenza.
Percorrerà sentieri e strade polverose, userà anche i vari
mezzi di trasporto dell’epoca, dalla posta-cavalli alle diligenze, si fermerà a
dormire nelle locande o approfitterà
dell’ospitalità della gente che incontra nel suo cammino, contadini, notabili o
appartenenti alla piccola borghesia della provincia.
Di questi incontri, di queste esperienze registrerà le
cronache degli eventi più recenti, come la serie di cattivi raccolti, la meliga
bruciata dalla siccità, la scarsità di castagne e l’ennesima vendemmia andata
male, che da alcuni anni aveva reso il vino una bevanda preziosa. Per molto
tempo vi era stata carestia di tutto, tranne che di tasse, le famose tasse
cavourriane.
Ora invece, la stagione dei raccolti si era fatta più
propizia, i bei grappoli pendevano dai tralci, ma i contadini si affrettavano a
raccogliere l’uva ancora acerba, per paura, che dopo tanta carestia, venisse
rubata. Questi ed altri fatti fornirono all’Autore l’occasione di trattare i
problemi che affliggevano l’agricoltura piemontese, come i furti nelle
campagne, la diffusione della mezzadria che induce conflittualità tra padroni della terra e chi
la coltiva o più in generale la grande proprietà della terra fertile della pianura,
in mano per gran parte ad una nobiltà che disdegnava il vivere in campagna e
l’impegno diretto nel suo sfruttamento.
Gli effetti di questo stato di cose si potevano cogliere
nella distribuzione della popolazione agricola, che nella grande maggioranza
affollava le valli alpine e i pendii rocciosi,
cercando di strappare, ad un terreno arido, il necessario per vivere.
Quando però si tratta di affrontare i conflitti sociali che questa
situazione genera, il suo giudizio è ondeggiante e contraddittorio: da una
parte non gli sfuggono le miserie e le sofferenze della classe contadina e
lavoratrice, come un’alimentazione a base di polenta e poco altro, dove la carne
è un vero lusso e il vino fuori dalla portata dei lavoratori, ma quando tratta
dei furti nei campi si lamenta dello scarso rispetto della proprietà, dei
numerosi diritti di passaggio che la vincolano e visto che “La società qui, come dappertutto è una guerra
tra gli “habens “ e i “non habens”
reclama solo una buona polizia rurale in difesa dei primi.
Nel suo spaziare a tutto campo, pone l’attenzione, anche,
sull’industria nascente: i cotonifici di Pont e del Canavese, le filande e le tessiture
sparse nei villaggi, i lanifici biellesi. Colpisce l’esortazione alla necessità di attrarre i capitali
stranieri, per avviare la prima industrializzazione (fatto che avverrà
soprattutto nel settore tessile); il Piemonte, dice, non ha il carbone, ma
possiede una vasta forza idraulica e una manodopera volenterosa, intelligente
ed a buon mercato.
Originale è, soprattutto per i tempi, la consapevolezza che
il turismo, oltre che un incivilimento dei costumi, possa rappresentare un
consistente fattore di sviluppo. Affermava che i turisti europei affollavano il
versante nord delle Alpi, mentre il versante sud, quello piemontese e lombardo,
non avevano nulla da invidiare come bellezze naturali, anzi godevano di un
clima più favorevole. Perché dunque lasciare a Svizzeri e Francesi i milioni di
franchi che genera il turismo? Perché ciò avvenga è necessario sviluppare le
infrastrutture che quasi non esistono, modificando quindi la situazione che
descrive senza compiacimenti: il quadro desolante rappresentato dai trasporti, dalle
locande e dagli alberghi piemontesi, perlopiù sporchi e rumorosi.
A Gallenga piace soffermarsi sulle note di costume ed è
molto severo nella polemica contro il lotto, il gioco delle carte, l’abitudine
di masticare tabacco e sputare per terra.:
“I
Piemontesi, e in verità gli italiani
tutti, fumano come tedeschi e sputano come yankees.”
Anche la cultura ufficiale non sfugge al suo severo giudizio, manifesta fastidio per “quell’eterno Dante” e le “dissertazioni
sui vecchi cocci” che effettivamente davano ancora un tono antiquato alla
vita letteraria, mentre la mente richiede cibo fresco, per crescere e muoversi
con i tempi.
Apprezza lo storico Domenico Carutti e le opere del giovane scrittore Bersezio e
pochi altri, il resto non gli pare “appartenere
alla letteratura vivente”.
Antonio Gallenga si rivela sorprendentemente un grande
amante della natura, diremo quasi un moderno ecologista e le sue riflessioni
sono più che mai attuali.
Dall’alto del poggio dove risiede, commenta negativamente il
disboscamento portato avanti da secoli, che ha reso brulle le colline e
dissestato il territorio.
Anche nella Capitale gli alberi non sono rispettati e
vengono capitozzati in malo modo. “Gli
italiani non hanno occhi per le bellezze della natura, e raramente mostrano di
amarla” scrive, e aggiunge che i torinesi hanno una splendida collina, ma
che le loro passeggiate si arrestano al fondo di via Po.
Queste e molte altre originali ed argute considerazioni
rendono ancora oggi, dopo più di 150 anni, questo libro affascinante e
straordinariamente attuale, fornendo al lettore un esempio di argomentazione
colta e allo stesso tempo di piacevole lettura.
In occasione del 150° dell’Unità d’Italia, si è riparlato di
Antonio Gallenga, in seguito ad un episodio presente nel film Noi
credevamo di Mario Martone, in cui l’attore Luca Barbareschi interpreta il
ruolo di Gallenga, mancato regicida di Carlo Alberto..
Questo fatto caratterizzò Gallenga oltre misura. Chi conosce
anche solo sommariamente la sua vicenda umana, capisce quanta poca importanza rivesta nell’incredibile storia della sua vita
e nella mole di opere che lascò ai posteri.
Antonio Gallenga (1810-1895) fu un uomo che vide tutti i
grandi eventi del suo secolo e alcuni li visse direttamente; fu fervente
rivoluzionario durante le prime insurrezioni, fu esule, patriota, deputato al
Parlamento, liberale prima e monarchico poi. La sua parabola politica, durante
i suoi ottantacinque anni toccò i due estremi, ma non fu mai per opportunismo,
ed ad ogni passaggio ne pagò le conseguenze.
Egli fu un uomo rigoroso, prima di tutto con se stesso, poco
incline al compromesso, caparbio e ostinato. La sua franchezza gli procurò
pochi ammiratori in Italia e pochi lo rimpiansero quando si stabilì
definitivamente in Inghilterra, dove dopo essere stato un autorevole
giornalista del Times, morì nella quiete
di un paesino gallese.
Oltre alle migliaia di articoli, scrisse numerose opere
letterarie, salvo qualche eccezione tutte in inglese.
I suoi libri, compreso quello di cui oggi proponiamo la
traduzione, si trovano nelle biblioteche delle migliori università del mondo:
da Harvard, a Cambridge, da Princeton a Oxford .
Antonio Gallenga amò sempre l’Italia, esaltandone le
bellezze naturali, la sua cultura e la sua arte, ma non mancò di denunciarne i
difetti, con la speranza di vederli risolti e superati. Scrisse la prima
grammatica moderna di Inglese-Italiano, che ebbe 14 edizioni e con i suoi
articoli, contribuì, forse più di ogni altro, a far conoscere l’Italia e a far
nascere presso l’opinione pubblica inglese quella curiosità, quell’amore per il
nostro Paese, che si concretizzò con i primi flussi turistici.
L’Associazione culturale Terra Mia, con l’intento di valorizzare la vita e le opere di
Antonio Gallenga, ha posto in essere una serie di iniziative, come articoli e
conferenze ed iniziato la ricerca per l’acquisizione delle sue opere originali,
ormai reperibili solo sul mercato degli appassionati bibliofili, che verranno
in seguito rese fruibili tramite la Biblioteca di Castellamonte.
Parimenti è iniziata una ricerca in Inghilterra, con
l’intento di raccogliere documenti e articoli, che permettano di ricostruire
l’ultimo periodo della sua vita. Questa attività ci ha portati nel maggio
scorso a “riscoprire” la tomba del Gallenga, ormai dimenticata nel cimitero
storico di Llandogo e a visitare la casa in cui trascorse gli ultimi anni della
sua vita, ancora conservata pressoché integra dagli attuali proprietari.
L’occasione ci ha permesso di raccogliere numerosi documenti e informazioni e
ad allacciare proficui rapporti con storici locali.
Con la traduzione di Country
life in Piedmont, resa possibile grazie all’impegno del dott. Sergio Musso,
intendiamo offrire, in primis ai
nostri Soci, la possibilità di leggere ed apprezzare un libro raro e prezioso,
inedito in Italia e più in generale sviluppare un’operazione culturale che
arricchisce il patrimonio bibliografico piemontese di un’opera di straordinario
valore storico letterario.
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