lunedì 23 settembre 2013

Antonio Gallenga Vita nelle campagne piemontesi - Country life in Piedmont

PRESENTAZIONE

Il libro che siamo lieti di presentare è un’importante documentazione coeva, sul modo di vivere, sulle consuetudini, sulle tradizioni e sui problemi della vita nelle campagne piemontesi di metà Ottocento, realizzata da Antonio Gallenga, uno scrittore e giornalista d’eccezione, che diventerà una delle firme più prestigiose del  Times di Londra.
Pubblicato a Londra nel 1858, Country life and Piedmont non fu mai tradotto in italiano, in quanto l’Autore lo ideò per il pubblico inglese.  Questo libro non è un trattato sociologico sulla vita dei contadini, né tanto meno un’inchiesta agraria, è molto di più, è un reportage, una corografia, un realistico ritratto della società subalpina di metà Ottocento, scritto senza indulgenza alcuna, con la conoscenza di un nativo ed allo stesso tempo lo sguardo distaccato di uno straniero.
Antonio Gallega struttura i capitoli del libro sotto forma di lettere indirizzate all’amico giornalista Marmion Savage e ad esclusione della  prima, sono datate da Castellamonte, luogo della sua residenza. Esse coprono un periodo che va da settembre  a gennaio e pur non riportando l’anno, esso è sicuramente il 1857-58.

Uomo di cultura e patriota, quando approda a Castellamonte e scrive questo libro,  Gallenga è un uomo di mezza età, nel pieno della sua maturità intellettuale. Le vicissitudini della vita  lo avevano già portato in giro per l’Italia e per il mondo.(vedere biografia alla fine del libro). Era stato in America, a Boston, dove aveva frequentato la dotta comunità degli esuli italiani e gli intellettuali  locali come Henry W.Longfellow e William H. Prescott, ottenendo una discreta posizione nell’insegnamento.
Nonostante ciò, il suo carattere irrequieto, lo portò a lasciare il Nord America per l’Inghilterra.
Riprese una nuova vita e anche qui non tardò ad affermarsi come scrittore e giornalista. Dopo aver acquisita un’invidiabile padronanza della lingua inglese, gli anni trascorsi nei paesi anglosassoni, ne plasmarono il carattere e la mentalità, facendo di lui un perfetto inglese.
Il suo cuore però, era, e rimase italiano: in Inghilterra frequentò Mazzini e gli esuli italiani e si adoperò con articoli e conferenze a sostenere la causa dell’Unità d’Italia presso l’opinione pubblica inglese.
Dopo la clamorosa rottura con Mazzini, Cavour, per assicurarsi l’appoggio di una penna prestigiosa in campo internazionale e un autorevole appoggio alle previste campagne militari del Piemonte (guerra di Crimea), lo invitò a venire in Piemonte;  nel 1854 ne favorì l’elezione a deputato al Parlamento Subalpino.
Antonio Gallenga, stabilitosi a Castellamonte dove era nato suo padre, iniziò la costruzione di una bella villa sulla collina che domina il borgo, ma nonostante gli impegni parlamentari a Torino, non recise i suoi rapporti con l’Inghilterra dove  mantenne  molteplici interessi.
All’epoca era corrispondente da Torino del “Daily News” e percorse, anche a piedi, il Vercellese e il Biellese per completare una ricerca sull’eresia di Fra Dolcino, un argomento al quale il pubblico inglese era molto interessato e che il Gallenga asseconderà con una libro in inglese. Contemporaneamente preparò, su invito di Cavour, “History of Piedmont”, la storia del Piemonte, che sarà presentata a Londra nel 1855, in occasione della visita di re Vittorio Emanuele II alla regina Vittoria.
L’anno successivo i tre volumi di “Storia del Piemonte” verranno pubblicati anche in italiano, procurando all’Autore molti problemi, che saranno la causa del suo abbandono della carica di deputato e del suo successivo rientro in Inghilterra.

Il 1857, quando inizia la scrittura del libro, non è per  Gallenga un anno felice: la politica italiana lo aveva profondamente deluso, un paio di anni prima la sua giovane moglie era morta di scarlattina ed ora si ritrovava solo in una casa posta in cima ad una collina a mezzo miglio dal paese, ancora da completare e soprattutto, troppo grande e vuota per lui.
Visse in quell’anno una sorta di pausa esistenziale, di volontario esilio nella quieta campagna canavesana, con gli amici castellamontesi, che lo rispettavano e gli erano fedeli, ma che probabilmente faticavano a comprendere il suo modo di porsi e la sua mentalità, così diversa dalla loro e quindi giudicata bizzarra.
Di politica non voleva più parlare, quindi di sua iniziativa o sollecitato dall’editore inglese, scrisse un libro, dove la sua contingente esperienza di vita fu occasione per raccontare agli inglesi, che proprio in quegli anni scoprono il fascino delle vette, la bellezza delle Alpi e dei laghi del nord Italia, la vita, il carattere e le abitudini della gente di questo piccolo Stato Sardo-piemontese, che si stava affacciando alla ribalta internazionale.

Coutry life in Piedmont  offre deliziose impressioni paesaggistiche, che assumono il carattere di una coreografia. (il Gallenga, grande passeggiatore ed escursionista, aveva girato le Alpi Graie e Pennine in tutta la loro estensione), conosceva già le bellezze delle loro valli avendole girate in lungo e in largo, ma sempre viaggiando, come un signore inglese al quale la gente guardava con soggezione,  riservandogli tutte le attenzioni, non aprendo però mai le loro case, né tantomeno i loro cuori.

Antonio Gallenga durante l’estate, dotato di qualche lettera di presentazione, iniziò le sue lunghe escursioni, lasciando a casa il “cappello inglese da viaggio, per indossarne uno da brigante” che, rendendolo esteriormente più simile ai locali,  favoriva il dialogo e la confidenza.
Percorrerà sentieri e strade polverose, userà anche i vari mezzi di trasporto dell’epoca, dalla posta-cavalli alle diligenze, si fermerà a dormire  nelle locande o approfitterà dell’ospitalità della gente che incontra nel suo cammino, contadini, notabili o appartenenti alla piccola borghesia della provincia.
Di questi incontri, di queste esperienze registrerà le cronache degli eventi più recenti, come la serie di cattivi raccolti, la meliga bruciata dalla siccità, la scarsità di castagne e l’ennesima vendemmia andata male, che da alcuni anni aveva reso il vino una bevanda preziosa. Per molto tempo vi era stata carestia di tutto, tranne che di tasse, le famose tasse cavourriane.

Ora invece, la stagione dei raccolti si era fatta più propizia, i bei grappoli pendevano dai tralci, ma i contadini si affrettavano a raccogliere l’uva ancora acerba, per paura, che dopo tanta carestia, venisse rubata. Questi ed altri fatti fornirono all’Autore l’occasione di trattare i problemi che affliggevano l’agricoltura piemontese, come i furti nelle campagne, la diffusione della mezzadria che induce  conflittualità tra padroni della terra e chi la coltiva o più in generale la grande proprietà della terra fertile della pianura, in mano per gran parte ad una nobiltà che disdegnava il vivere in campagna e l’impegno diretto nel suo sfruttamento.
Gli effetti di questo stato di cose si potevano cogliere nella distribuzione della popolazione agricola, che nella grande maggioranza affollava le valli alpine e i pendii rocciosi,  cercando di strappare, ad un terreno arido, il necessario per vivere.
Quando però si tratta di  affrontare i conflitti sociali che questa situazione genera, il suo giudizio è ondeggiante e contraddittorio: da una parte non gli sfuggono le miserie e le sofferenze della classe contadina e lavoratrice, come un’alimentazione a base di polenta e poco altro, dove la carne è un vero lusso e il vino fuori dalla portata dei lavoratori, ma quando tratta dei furti nei campi si lamenta dello scarso rispetto della proprietà, dei numerosi diritti di passaggio che la vincolano e visto che “La società qui, come dappertutto è una guerra tra gli “habens “ e  i “non habens” reclama solo una buona polizia rurale in difesa dei primi.

Nel suo spaziare a tutto campo, pone l’attenzione, anche, sull’industria nascente: i cotonifici di Pont e del Canavese, le filande e le tessiture sparse nei villaggi, i lanifici biellesi. Colpisce l’esortazione  alla necessità di attrarre i capitali stranieri, per avviare la prima industrializzazione (fatto che avverrà soprattutto nel settore tessile); il Piemonte, dice, non ha il carbone, ma possiede una vasta forza idraulica e una manodopera volenterosa, intelligente ed a buon mercato.

Originale è, soprattutto per i tempi, la consapevolezza che il turismo, oltre che un incivilimento dei costumi, possa rappresentare un consistente fattore di sviluppo. Affermava che i turisti europei affollavano il versante nord delle Alpi, mentre il versante sud, quello piemontese e lombardo, non avevano nulla da invidiare come bellezze naturali, anzi godevano di un clima più favorevole. Perché dunque lasciare a Svizzeri e Francesi i milioni di franchi che genera il turismo? Perché ciò avvenga è necessario sviluppare le infrastrutture che quasi non esistono, modificando quindi la situazione che descrive senza compiacimenti: il quadro desolante rappresentato dai trasporti, dalle locande e dagli alberghi piemontesi,  perlopiù sporchi e rumorosi.


A Gallenga piace soffermarsi sulle note di costume ed è molto severo nella polemica contro il lotto, il gioco delle carte, l’abitudine di masticare tabacco e sputare per terra.: “I Piemontesi, e in  verità gli italiani tutti, fumano come tedeschi e sputano come yankees.”
Anche la cultura ufficiale non sfugge  al suo severo giudizio, manifesta  fastidio per “quell’eterno Dante” e le “dissertazioni sui vecchi cocci” che effettivamente davano ancora un tono antiquato alla vita letteraria, mentre la mente richiede cibo fresco, per crescere e muoversi con i tempi.
Apprezza lo storico Domenico Carutti e  le opere del giovane scrittore Bersezio e pochi altri, il resto non gli pare “appartenere alla letteratura vivente”.

Antonio Gallenga si rivela sorprendentemente un grande amante della natura, diremo quasi un moderno ecologista e le sue riflessioni sono più che mai attuali.
Dall’alto del poggio dove risiede, commenta negativamente il disboscamento portato avanti da secoli, che ha reso brulle le colline e dissestato il territorio.
Anche nella Capitale gli alberi non sono rispettati e vengono capitozzati in malo modo. “Gli italiani non hanno occhi per le bellezze della natura, e raramente mostrano di amarla” scrive, e aggiunge che i torinesi hanno una splendida collina, ma che le loro passeggiate si arrestano al fondo di via Po.

Queste e molte altre originali ed argute considerazioni rendono ancora oggi, dopo più di 150 anni, questo libro affascinante e straordinariamente attuale, fornendo al lettore un esempio di argomentazione colta e allo stesso tempo di piacevole lettura.

In occasione del 150° dell’Unità d’Italia, si è riparlato di Antonio Gallenga, in seguito ad un episodio presente nel film  Noi credevamo di Mario Martone, in cui l’attore Luca Barbareschi interpreta il ruolo di Gallenga, mancato regicida di Carlo Alberto..
Questo fatto caratterizzò Gallenga oltre misura. Chi conosce anche solo sommariamente la sua vicenda umana, capisce quanta poca importanza  rivesta nell’incredibile storia della sua vita e nella mole di opere che lascò ai posteri.

Antonio Gallenga (1810-1895) fu un uomo che vide tutti i grandi eventi del suo secolo e alcuni li visse direttamente; fu fervente rivoluzionario durante le prime insurrezioni, fu esule, patriota, deputato al Parlamento, liberale prima e monarchico poi. La sua parabola politica, durante i suoi ottantacinque anni toccò i due estremi, ma non fu mai per opportunismo, ed ad ogni passaggio ne pagò le conseguenze.
Egli fu un uomo rigoroso, prima di tutto con se stesso, poco incline al compromesso, caparbio e ostinato. La sua franchezza gli procurò pochi ammiratori in Italia e pochi lo rimpiansero quando si stabilì definitivamente in Inghilterra, dove dopo essere stato un autorevole giornalista del  Times, morì nella quiete di un paesino gallese.
Oltre alle migliaia di articoli, scrisse numerose opere letterarie, salvo qualche eccezione tutte in inglese.

I suoi libri, compreso quello di cui oggi proponiamo la traduzione, si trovano nelle biblioteche delle migliori università del mondo: da Harvard, a Cambridge, da Princeton a Oxford .
Antonio Gallenga amò sempre l’Italia, esaltandone le bellezze naturali, la sua cultura e la sua arte, ma non mancò di denunciarne i difetti, con la speranza di vederli risolti e superati. Scrisse la prima grammatica moderna di Inglese-Italiano, che ebbe 14 edizioni e con i suoi articoli, contribuì, forse più di ogni altro, a far conoscere l’Italia e a far nascere presso l’opinione pubblica inglese quella curiosità, quell’amore per il nostro Paese, che si concretizzò con i primi flussi turistici.


L’Associazione culturale Terra Mia, con l’intento di valorizzare la vita e le opere di Antonio Gallenga, ha posto in essere una serie di iniziative, come articoli e conferenze ed iniziato la ricerca per l’acquisizione delle sue opere originali, ormai reperibili solo sul mercato degli appassionati bibliofili, che verranno in seguito rese fruibili tramite la Biblioteca di Castellamonte.
Parimenti è iniziata una ricerca in Inghilterra, con l’intento di raccogliere documenti e articoli, che permettano di ricostruire l’ultimo periodo della sua vita. Questa attività ci ha portati nel maggio scorso a “riscoprire” la tomba del Gallenga, ormai dimenticata nel cimitero storico di Llandogo e a visitare la casa in cui trascorse gli ultimi anni della sua vita, ancora conservata pressoché integra dagli attuali proprietari. L’occasione ci ha permesso di raccogliere numerosi documenti e informazioni e ad allacciare proficui rapporti con storici locali.
Con la traduzione di Country life in Piedmont, resa possibile grazie all’impegno del dott. Sergio Musso, intendiamo offrire, in primis ai nostri Soci, la possibilità di leggere ed apprezzare un libro raro e prezioso, inedito in Italia e più in generale sviluppare un’operazione culturale che arricchisce il patrimonio bibliografico piemontese di un’opera di straordinario valore storico letterario.



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