sabato 12 marzo 2011

Il servizio postale nel XIX secolo.

L’ignoto castellamontese che nel settembre del 1856 scriveva una lettera al sindaco di Ozegna, sicuramente non immaginava che quella sua missiva un secolo dopo sarebbe stata contesa da case d’asta e collezionisti di tutta Italia, trasformandosi così in un piccolo tesoro per il fortunato proprietario.
Oggi, quella  lettera è riprodotta sui cataloghi filatelici ed è valutata dagli esperti più di 30 milioni di lire, un prezzo di tutto rispetto!
Il motivo di tanto valore è dato dall’affrancatura: 4 francobolli da 5 centesimi di colore verde raffiguranti l’effigie di Vittorio Emanuele II, e che rappresentano l’unica “quartina” conosciuta, usata per affrancare una busta. Uno dei pezzi filatelici più rari dello Stato Sabaudo!
Questa piccola curiosità segnalataci dal Sig.Nadir Castagneri, un importante collezionista filatelico, ci ha stimolati a compiere una piccola ricerca sul servizio postale  in Canavese.
Da “La Posta in Valle d’Aosta e Canavese” di G.B.Trovero risulta che Castellamonte  nell’anno 1746, fù la prima località alto-canavesana nella quale fù attivato un ufficio postale.
Probabilmente però i castellamontesi restarono addormentati sugli allori, perchè durante il periodo Napoleonico e l’istituzione del Dipartimento della Dora l’ufficio venne addirittura soppresso e  si dovette fare riferimanto a quello di Cuorgnè costituito nel 1764.
Dopo la Restaurazione, nel 1816 Castellamonte riavrà nuovamente il suo ufficio postale, probabilmente gestito da un concessionario privato a provvigione.
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Ma come funzionava la posta nel secolo scorso?  Proviamo a sintetizzarne gli aspetti principali.

Usufruire del servizio postale ad inizio ‘800 era sicuramente molto costoso.
Se non si faceva parte di una delle categorie e apparati statali che beneficiavano della franchigia (il 60% di tutto il volume di corrispondenza) un privato, per inviare una lettera, spendeva circa un terzo di una giornata di lavoro di un salariato medio, quindi ad utilizzare il servizio erano prevalentemente le classi più abbienti .
Per inviare una lettera in una località del Regno (ma era possibile anche scrivere all’estero, naturalmente con costo più elevato) si doveva ripiegare in quattro il foglio scritto, poi lo si avvolgeva con un altro “a coperta”. Su quest’ultimo, nella parte  anteriore si scriveva l’indirizzo e sul retro si apponeva un sigillo normalmente di ceralacca con timbratura che chiudeva l’involucro e  evitava che il foglio interno si lacerasse durante l’apertura. Solo dopo la seconda metà del secolo si diffuse l’uso delle classiche buste.

Confezionata la missiva, sino al 1850 vi erano due modi per inviarla: la prima era di imbucarla così come era ,senza affrancatura, in una buca per lettere; la seconda  era di consegnarla all’ufficio postale e pagare la relativa tassa. In questo caso l’addetto postale apponeva il timbro e due lettere maiuscole P.P.che significavano  Porto Pagato,
Contrariamente a quello che sembrerebbe ovvio, dati gli usi attuali, solo la corrispondenza destinata all’estero veniva affrancata, l’altra che era la stragrande maggioranza viaggiava priva di affrancatura e con tasse a carico del destinatario, che pagava all’atto del ritiro presso l’ufficio postale di arrivo, non essendo prevista la distribuzione a domicilio della posta .Ovviamente si aveva anche la possibilità di rifiutarla.
Questa usanza  può apparire strana, ma era giustificata dal fatto che per la difficoltà del servizio non era matematicamente certo che la lettera inviata giungesse a destinazione. Inoltre era ritenuto poco signorile ricevere una lettera prepagata e magari con le famigerate P.P. in bella evidenza che equivalevano ad una patente di “povero diavolo”.
Questo sistema ferraginoso andò lentamente modernizzandosi man mano che crescevano la società civile e i volumi della corrispondenza.
Al fine di razionalizzare il servizio postale anche lo Stato Sabaudo introdusse il 1 gennaio 1851 l’uso dei francobolli, adeguandosi così agli altri stati europei dove il loro uso  era ormai consolidato.
Vediamo ora come viaggiava una lettera.
La corrispondenza in partenza veniva affidata alla diligenza che percorreva le strade degli antichi itinerari della  “posta cavalli” un sistema organizzato di trasporti.
 Le più importante linea postale e di servizio viaggiatori che attraversavano il Canavese era la Torino- Aosta che  nel 1825 quattro volte la settimana raggiungeva Ivrea via Chivasso-Caluso.
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I protagonisti del servizio postale erano:
I corrieri di gabinetto a cui erano affidati i dispacci più urgenti e riservati indirizzati al corpo diplomatico all’estero e per il Re i e i suoi ministri quando erano fuori Torino.
Viaggiavano su vetture leggere e veloci, tutte uguali e con lo stemma reale.
Il loro percorso doveva seguire le strade e effettuare le fermate  indicate da un apposito “ ruolino di marcia” che veniva consegnato all’atto della partenza; i corrieri erano armati non tanto per la difesa personale, quanto per la salvaguardia di dispacci loro affidati.
Le corse andavano effettuate nel tempo previsto dalla direzione generale, ogni ora di ritardo ingiustificato comportava una multa di L.% e il suo ripetersi il licenziamento.
Ogni stazione di posta doveva avere un postiglione di guardia ai cavalli, pronto per il passaggio dei corrieri e un lumino acceso di notte nella scuderia.
Le strade non erano sempre sicure, ma chi attaccava i corrieri per impadronirsi della corrispondenza incorreva nell’ergastolo o nella pena di morte se nell’attacco vi erano feriti. 
i Corrieri di malla invece erano addetti al trasporto della corrispondenza comune sulle strade più importanti. Nel regno Sabaudo dovevano essere “..robusti, atti afare, bisognando, corse a cavallo, di onesti natali, buoni costumi, di età non  di anni venti e non maggiore di quaranta...” dal 1817 al 1825 i corrieri di malla viaggiavano a bordo di veicoli leggeri a due ruote detti brouettes sulle quali oltre il corriere poteva trovare posto un viaggiatore pagante . Quetso sistema di abbinare un viaggiatore pagante al trasporto della corrispondenza in modo da diminuire i costi era l’applicazione della Malle-poste  introdotta per la prima volta in Inghilterra  nel 1784 poi in Francia nel 1793 e di quì passata in Piemonte e si prefiggeva lo scopo raggiungere l’autofinanziamento del servizio.
Nel 1825 probabilmente in seguito all’aumento dei viaggiatori e della corrispondenza vennero costruite nuove vetture a quattro ruote sulle quali  trovarono posto due viaggiatori e il corriere.

E veniamo all'ultima categoria , quella dei Pedoni che non andavano ne in carrrozza  ne a cavallo, ma solamente a piedi. Essi erano di due categorie:
pedoni dintendenza pagati dal bilancio provinciale che svolgevano compiti di messi e portaordini e pedoni comunali a carico di uno o più comuni.
Nel 1837 nella provincia di Ivrea erano attivi quattri pedoni d’intendenza, uno era sicuramente in forza all’ufficio postale di Castellamonte che serviva anche i comuni di Baldissero, Campo, Muriaglio, Cintano, Collereto Castelnuovo, Castelnuovo Nigra, Villa Castelnuovo.
Più che il trasporto della corrispondenza privata che era ancora marginale in quelle zone il pedone  era un messo e portaordini che permetteva il collegamento delle amministrazione centrale con quelle periferiche.
Esso doveva essere un buon camminatore e conoscitore della zona che percorreva in lungo e in largo con una grossa borsa a tracolla e quasi sembre la sua visita a un privato significava  che  esso doveva svolgere qualche servizio o pagare qualche diritto allo Stato.
Nelle città per il recapito della corrispondenza a domicilio (i postini dei nostri giorni) erano davvero pochi in quegli anni.
I motivi erano facilmente intuibili: scrivere o meglio ricevere (dato il sistema in vigore) costava parecchio, scriveva chi se lo poteva permattere o chi proprio non ne poteva fare a meno.
Chi aspettava una lettera andava all’ufficio postale e la richiedeva. Il servizio a domicilio funzionava solo per le lettere non richieste e da tempo giacenti. Nei nostri piccoli centri canavesani  i commessi di posta erano pagati a percentuale e avevano tutto l’interesse a rintracciare i destinatari e avvertirli dell’arrivo della lettera.
Questo sistema duro sino a quando la corrispondenza era poca in seguito il numero dei portalettere inizio a crescere  e a valorizzarsi.
Una curiosità, durante le grandi epidemie di colera, tifo, ecc.le lettere provenienti dalle zone infette venivano disinfettate tramite fumicagione a base di bacche di ginepro, incenso, mirra, benzoino, canfora. Sulle lettere che avevano assunto un colore brunastro dopo questo trattamento,veniva posto il timbro”NETTE DENTRO E FUORI”
La corrispondenza era un bene prezioso e lo stato reprimeva duramente chi osava sottrarre la posta, così capitava che se i briganti attaccavano la diligenza postale,  rapinavano gli occupanti, ma mai si appropriavano della corrispondenza.
Il servizio postale essendo molto costoso per le classi popolari, quest’ultime cercavano di arrangiarsi affidavano le missive a carrettieri, aubulanti ecc alimentando un vero e proprio contrabbando di corrispondenza che la direzione delle Poste cercavano di reprimere in ogni modo.
Ci vorranno ancora molti anni, prima che lo sviluppo industriale e commerciale imponessero un moderno servizio postale. Una svolta decisiva la dettero le ferrovie che grazie alla loro capacità di carico e velocità resero superate le diligenze migliorando il servizio e diminuendo i costi.
Con l’arrivo della ferrovia nel Canavese il servizio postale migliorò notevolmente anche nei nostri borghi.
All’inizio del 1900, il servizio era praticamente alla portata di tutti, e da allora generazioni intere hanno pianto,sofferto,gioito, aprendo  una lettera.
Oggi, mezzi tecnologici efficienti e rapidi stanno rivoluzionando il modo di corrispondere, peccato però che non conservino il sottile fascino di una lettera.
Le nostre buche postali  si riempiono di cartaccia, e sempre più spesso l’unica lettera che arrriva è quella della Telecom che ci comunica la montagna di scatti da pagare, effettuati dagli incontenibili ardori telefonici dei nostri figli.


Emilio Champagne    membro del CORSAC                 Pubblicato “Il Canavesano” 1999

























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