sabato 12 marzo 2011

La presenza dell'uomo in Canavese dalla preistoria all'occupazione romana.

A  cura  di  Emilio. Champagne

La presenza dell’uomo in Canavese, allo stato attuale delle ricerche, inizia subito dopo l’ultima glaciazione avvenuta più o meno 14.000 anni fa.
Sul territorio canavesano i ghiacciai si affacciavano sulla pianura, dove i torrenti vagavano senza letto creando paludi, aquitrini  e lasciando il terrritorio cosparso di pietraie che non favorivano lo stabilirsi dell’uomo.

PALEOLITICO SUPERIORE  (12.000 - 6500  anni a.C )
Le colline moreniche e i terrazzamenti prealpini che si affacciano sulle pianure andavano lentamente ricoprrendosi di vegetazione e seguendone i rilievi le prime tribù di cacciatori seguivano i branchi di selvaggina, soprattutto camosci, stambecchi e cervidi che popolavano le basse quote.
L’estrema scarsità di grotte naturali a fatto si che i primi abitatori delle zona conducevano una vita nomade, costruendo i loro ricoveri usando legno e rami, addossati a grandi massi. Questo tipo di vita a fatto sì che poche tracce della loro esistenza giungessero sino a noi e gli studiosi concentrarono la loro attività in altri siti, come i monti liguri, dove il terreno carsico e ricco di grotte restituivano un’abbondante materiale a testmonianza della loro presenza.

Una trentina di anni fa, degli appassionati ricercatori della zona esplorarono una grotta posta tra Salto e Pont in una posizione panoramica e forse l’unica esistente sul notro territorio atta ad accogliere la vita dell’uomo. Il loro ragionamento fu semplice: se l’uomo antico avesse vissuto nella zona avrebbe sicuramente freguentato la grotta. Piccoli indizi li confortarono in questa loro supposizione e così segnalarono la grotta agli studiosi, che iniziarono una seria ricerca scientifica. I risultati furono sorprendenti: dagli scavi del pavimento della grotta ricco di depositi terrosi emersero numerosi oggetti e testimonianze che portarono indietro l’orologio della nostra storia canavesana sino al Paleolotico superiore  (12.000-6500 ac.

NEOLITICO  (4500 - 3000 annni a.C.)

In questo periodo, per effetto del clima più caldo i ghiacciai si ritirarono ulterirmente  scoprendo le valli. La vegetazione cominciò a ricoprire anche la pianura e le pendici dei monti. Nuove tribù di uomini che giungevano da oriente provenienti dalla pianure danubiane, si insediarono in Canavese. Essi erano portatori di una cultura più evoluta che trasformò l’economia dei cacciatori- raccoglitori  in coltivatori e allevatori.
Questo passaggio un’importante tappa dello sviluppo culturale dell’uomo, il quale con la coltivazione e l’allevamento si legò di più al territorio, iniziandone la trasformazione e addomesticando gli animali finì per addomesticare pure se stesso.
L’uomo canavesano del perioido neolitico ci ha lasciato numerose testimonianze della sua presenza, oltre che alla Boira Fusca, a Nava, sulle colline di Fiorano, a S.Martino, S.Giovanni, Castellamonte Fraz Filia ecc.
I ritrovamenti sono asce di pietra levigata, punte di frecce e utensili in quarzo e selce, macine ecc.Importanti sono i vasi di argilla e il modo come vengono prodotti.
Uno in particolare è considerato dagli studiosi come il biglietto da visita delle nostre popolazioni neolitiche, essso è il Vaso a Bocca Quadra (VBQ) così denominato perchè presenta una forma quadrata. Esso è importante perchè si trova diffuso su un’ampia zona della pianura padana, il cui limite occidentale è rappresentato dal Canavese. Gli studiosi ritengono quindi che dove si trova questo particolare tipo di vaso, vivesse una popolazione in qualche modo omogenea tra loro.

Le asce in pietra verde di Filia.

Un po' di anni fa un nostro concittadino di Castellamonte, Giacomo Antonietto mentre lavorava il suo terreno situato in fraz.Filia notò due strane pietre dalla forma affusolata, grazie alla sua intuizione le raccolse e le mostrò ad esperti: erano due asce appartenute all’uomo neolitico.
Grazie a questa eccezzionale scoperta oggi sappiamo che più di 5.000 anni fa le nostre colline erano freguentate dall’uomo primitivo.

ETA’  DEL  RAME  (3000 - 2000 anni a.C.)

Con l’acquisizione della capacità di fondere e lavorare i metalli, la società umana fece un grande balzo in avanti. In Canavese allo stato attuale delle ricerche abbiamo poche testimonianze di questa epoca. Essa è attestata solamente alla Boira Fusca e a Bollengo.


ETA DEL BRONZO ANTICO E  MEDIO.   (2000 - 1200)

Una ulteriore  aumento di temperatura comportò una variazione climatica che condizionò la società unana dell’epoca che era ormai organizzata socialmente e avanzata economicamente.
L’aridità di molti terreni portò le popolazioni a stabilirsi vicino ai fiumi e laghi.
A nord e sud dell’arco alpino sulle rive dei numerosi laghi fiorì la civilta delle palafitte che raggiunse il suo apogeo verso il 1500 a.C

In Canavese la presenza di molti laghi morenici, molto più numerosi che quelli attuali, favorì la diffusione delle comunità palafitticole, dando vita a villaggi di misura eccezzionale per l’epoca.

I villaggi di Viverone e S,Giovanni fraz.Castellamonte.
Le due località canavesane sono i siti dei più importanti insediamenti palafitticoli.
Delle due quella di Viverone è sicuramente la più studiata e più ricca di reperti in quando la sua scoperta è recente  (1965), mentre quella di S.Giovanni, risalente al 1859 non è stata, all’epoca, adeguatamente studiata e l’eccezzionale ritrovamento di 13 piroghe non è giunto a noi causa le arretrate tecniche conservative dell’epoca. Nonostante ciò il sito di S.Giovanni riveste grande importanza.(vedi schede apposite)
Le palafitte di Viverone.
Sono addirittura tre i villaggi scoperti, grazie ad un gruppo di appassionati subaquei, nel 1965.
Essi sorgevano nelle immediate vicinanze della riva occidentale del lago, nel territorio di Azeglio. Oggi la zona è un’area protetta e gli studi proseguono. Sotto la superficie dell’acqua infissi nel fango rimangono circa 5.000 pali che sostenevano le capanne.

I villaggi  palafitticoli di Viverone ospitavano un migliaio di persone ed era uno dei più grandi insediamenti europei del secondo millennio a.C.
Lo splendore della civiltà di Viverone ebbe influenza in tutto il Piemonte.Le numerose campagne di scavo subacqueo e di raccolta sui fondali hanno consentito di comporre un repertorio immenso, fatto di decine di armi di bronzo di pregevole fattura, quindi rasoi, monili, ceramiche e oggetti d’uso comune che collocano il sito di Viverone in posizione chiave per comprendere il vasto universo della Media Età del Bronzo.


ETA’ DEL BRONZO FINALE-FERRO  (1200 - 500)  anni a.C.

In questa epoca l’irruzione  nella pianura padana di bellicose tribù indoeuropee portatori della tecnologia del ferro e un  rapido e improvviso peggioramento climatico che innalzo il livello delle acque che  a Viverone sommerse i villaggi, cancellò in poco tempo la civiltà delle palafitte.
Le popolazioni si ritirarono su alture fortificate, dove potevano meglio difendersi o attaccare. Tra il 1100 e il 500 a.C. molti rilievi canavesani vennero abitati dalle comunità del Bronzo Finale, lasciando abbondanti tracce.
L’aggregazione di molte famiglie e clan in villaggi estesi è ormai una caratteristica di questa epoca.
Nella nostra zona all’inizio del primo millenio a.C. sulla collina di Belmonte sorgeva uno dei più importanti villaggi altocanavesani. Numerose capanne erette su pali difese da muri a secco occupavano le aree pianeggianti della sommità.

ETA’  DEL  FERRO (500 - 100) anni a.C.

Tribù celtiche- galliche calarono in Italia dai valichi alpini e mischiandosi con le popolazioni già residenti diedero vita a quelli che conosciamo come i Salassi: popolazioni che abitavano il territorio montagnoso compreso tra l’alto-Canavese e la valle d’Aosta. Con i salassi entriamo in epoca storica.

I SALASSI

Di questi antichi abitatori del Canavese conosciamo molto poco, ma con essi il Canavese entra nella storia con la esse maiuscola. Sono infatti i grandi storici dell’antichità che ci parlano di loro:

POLIBIO, storico greco, vissuto tra il  210 ed il 128 a.C così li descrive:
“...avevano borghi, ma non cinti da mura, la loro ricchezza era tutta nei gioielli preziosi e nel bestiame. Vivevano di carne e dormivano in terra sopra un pugno di stramaglie. Menavano vita primitiva senza arti ne scienza, solo dediti alla guerra  e alla coltivazione del suolo. Si ornavano particolarmente di monili vistosi, le loro armature splendevano di catenelle d’oro e di cinture filettate dello stesso metallo.
Portavano barba lunga e folta e lunghe chiome. Vivevano divisi per circoscrizioni corrispondenti alle “ civitates” romane, queste si suddividevano in ciscoscrizioni minori che corrispondevano ai “pagi”, i quali a loro volta comprendevano diversi cantoni o “vici”. Erano governati da un capo o regolo assistito dagli anziani e dai sacerdoti i quali amministravano anche la giustizia”.

PLINIO il vecchio nel libro XVIII della sua “Naturalis Historia”, racconta che i Salassi erano contadini abilissimi e progrediti, praticavano una nuova tecnica nell’aratura: il “sovescio”, ancor oggi in uso

STRABONE, nella sua opera intitolata “Geografia”, al libro IV, dice:
“Nel territorio dei Salassi vi sono miniere d’oro, che un tempo erano possedute dai Salassi così come questi possedevano le strade di accesso. Il fiume Duria (Dora Baltea) era loro di grande aiuto per la lavorazione del metallo e per il lavaggio dell’oro, per cui in molti luoghi, suddividendolo in molti canali, ne prosciugarono l’alveo causando danno a coloro che  coltivavano i campi per l’impossibilità di irrigarli. Tale fattto fu causa di continue guerre tra quelle popolazioni. Quando i romani ne acquisirono la sovranità, i Salassi persero l’indipendenza e le miniere. Tuttavia controllando anche le montagne, contratttavano il diritto alle acque agli appaltatori. Così succedeva che coloro  che venivano inviati dai romani in quei luoghi, se desideravano far guerra, ne trovavano facilmente l’occasione”.

I giucimenti auriferi della zona, ma sopratutto il controllo dei passi alpini che i Salassi controllavano ed erano di impedimento alle campagne militari romane atte alla conquista della Gallia, indussero i romani  ad efffettuare tre spedizioni per la conquista della regione.

L’ OCCUPAZIONE ROMANA

143 a.C. La prima, spedizione comandata da Appio Claudio Pulcro, fu un disastro. I romani furono sconfitti e persero 10.000 uomini.

140 a.C. lo stesso Appio Claudio dopo aver consultato i “Libri Sibillini”ad aver compiuto i riti suggeriti, muove nuovamente contro i Salassi.
 Questa volta la spedizione viene curata in modo particolare e i romani riportano una buona vittoria uccidendo 5.000 Salassi.
Sconfitti, ma non eliminati,  i Salassi si ritirano sulle montagne da dove però attaccarono ripetutamente i romani.

 100 a.C. i consoli Caio Mario e Valerio Flacco si recano in Canavese per porre fine alle irruzzioni dei Salassi e li ricacciano nuovamente sulle montagne e fondano la colonia romana di EPOREDIA (Ivrea) nella quale stanziano un presidio di 3.000 romani della tribù Pollia.

Ma i Salassi non sono ancora definativamente sconfitti intolleranti della servitù loro imposta, contimuarono a spadroneggiare sui loro territori imponendo, a tutti coloro che intendono attraversare la loro valle, il pagamento del “portorium” (pedaggio)

 43 a.C. fanno pagare un “denarius” d’argento a ciascuno dei soldati di Decimo Bruto, uno dei congiurati contro Giulio Cesare che fugge in Gallia  transitando dalla Valle d’Aosta.

35 a.C. i romani comandati da Antistio Vetere tengono assediati i Salassi per oltre un anno fin quando, per la mancanza di sale, sono costretti ad accettare l’occupazione romana. Ma appena ripartito Vetere, subito cacciano il presidio e dopo aver occupati i transiti alpini, beffeggiano le truppe che Ottaviano Augusto ha inviato contro di loro.
( da Appiano Alessandrino in Romanorum Historiarum Liber XVII)

25 a.C. Ottaviano, dopo la vittoria su Antonio, per liberare i transiti delle alpi Graie e Pennine, invia contro i Salassi Aulo Terenzio Varrone Murena. Questi occupate le alture agli sbocchi della valle, sconfigge definitivamente i Salassi sterminandoli.
Di 44.000 che egli fa prigionieri, parte li impicca sulle colline d’Ivrea, altri li incorpora nelle milizie ausiliarie e ben 36.000 li vende all’asta ad Ivrea, vietando ai compratori di affrancarli prima di 20 anni. (Dione Cassio)
Nel luogo sul quale si era accampato l’esercito di Varrone, viene poi eretta per ordine di Augusto, una colonia Romana, Augusta Pretoria (Aosta) con 3.000 romani della tribù Sergia ( anno 729 di Roma, 25 a.C.)

Così  finì il dominio dei Salassi, tutte le loro miniere vengono confiscate e sfruttate dai Romani, mentre i salassi vengono soggiogati e assimilati nell’impero romano.























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