Nei primi Anni Venti anche il Canavese è sull’orlo di una guerra civile. I fascisti tollerati e in qualche caso armati dalle stesse forze dell’ordine e dotati di automezzi messi a disposizione da imprenditori locali, si scatenano con violenze e intimidazioni contro il movimento operaio e socialista.
In questo clima avviene a Cuorgnè un omicidio sul quale non si riuscì fare completa chiarezza. Tra i vari personaggi emerge la figura in un magistrato integerrimo che nonostante tutte le difficoltà porterà avanti l’inchiesta.
La ricostruzione degli avvenimenti da un vecchio articolo della Sentinella del Canavese.
La vile tecnica delle spedizioni punitive prevedeva l’impiego delle squadre fasciste al di fuori del territorio di provenienza: quest’accorgimento garantiva l’anonimato e premuniva da possibili ritorsioni. Vi erano però sempre dei soggetti locali, che li guidavano verso gli obbiettivi siano stati essi sedi di partiti, associazioni o singole persone alle quali “dare una lezione”, che nei migliori dei casi consisteva nel somministrare una buona dose di olio di ricino, un purgante di moda al tempo.
Nel pomeriggio dell’ormai lontano 30 ottobre 1922, una squadraccia di camicie nere arrivate da Chieri e guidate da due fratelli di Prascorsano, salì da Cuorgnè sulla strada che, fra i boschi, si snoda verso Alpette.
Era una giornata grigia e nebbiosa: l’ideale per avvicinarsi ad Alpette, paesino piccolo ma battagliero, paese di contadini e di operai che ogni giorno scendevano dai monti per lavorare nelle manifatture tessili di Cuorgnè e Pont. Ad Alpette in quegli anni il fascismo non attecchiva e il paese era diventato un centro dell’antifascismo canavesano. Fare un’incursione nel covo dei nemici doveva dimostrare a tutti che ormai i fascisti controllavano il territorio.
Gli abitanti perlopiù al lavoro nei campi, furono colti di sorpresa e il colpo di mano riuscì.
I fascisti riuscirono a saccheggiare e bruciare i locali della povera Cooperativa Alpettese e ad impadronirsi della bandiera che i fedeli socialisti locali, gelosamente conservavano nella Casa Comunale.
Gli squadristi stavano allontanandosi, quando la loro ritirata si tramutò in una scomposta fuga. Gli alpettesi, presi alla sprovvista erano giunti in ritardo per difendere il loro paese, ma ora avevano tirato fuori chissà da dove una mitragliatrice e dalla località Nero spararono in direzione dei bravacci. Questi protetti dalla nebbia, riuscirono a rientrare a Cuorgnè senza subire perdite, dove diedero fondo ai liquori rubati ad Alpette.
Ormai pressoché ubriachi, giunti a Cuorgnè vollero dimostrare che non avevano paura, specie se si trovavano di fronte a persone inermi. Eccoli così davanti alla
alla Società di Mutuo Soccorso. Alcune testimonianze affermano che i fascisti al loro arrivo danno l’impressione di cercare qualche persona specifica con il probabile intento di dargli una lezione. I fascisti si appostarono all’esterno e due di essi entrarono nell’osteria, dando un’occhiata e se ne uscirono. Poi dall’esterno, entrarono nell’androne per controllare il cortile. Come il primo superò il battente del portone, dall’interno buio dell’androne gli arrivò una randellata in testa. Il compare rimasto all’esterno si carico il ferito in spalla e si diresse chiamando aiuto verso i suoi compagni. Il ferito fu medicato presso la farmacia Bertotti. A questo punto i fascisti si schierano con i moschetti puntati, qualcuno entra rovesciando tavoli e bottiglie..
Gli avventori si allontanano intimoriti: fra questi vi è un gruppo di giovani riunitisi per festeggiare una piccola vincita al lotto.
Uno di essi è il trentunenne Giorgio Rebuffo, falegname, da sei mesi sposatosi con la signorina Maria Domenica Vernetti.
Tutti i presenti cercano rifugio verso il cortile retrostante; il Rebuffo esce verso la via. Dal gruppo dei fascisti, chiaro e distinto viene urlato l’ordine di sparare: e qualcuno spara. Colpito in pieno da una pallottola che penetra all’altezza del cuore ed esce dietro il polmone destro, il Rebuffo cade ucciso sul colpo.
I fascisti a questo punto scompaiono dalla circolazione per ritornare un’ora dopo, a gruppi, ancora armati, girando per le case ad informare che, se qualcuno oserà dire chi è stato a compiere il delitto, dovrà vedersela con tutti i fascisti d’Italia.
Frattanto la salma del povero Rebuffo è stata trasportata dapprima nella vicina Caserma dei Carabinieri e poi nella sala dell’Oratorio parrocchiale, mentre il pretore inizia le indagini.
Il caso volle che ad indagare sul primo assassinio fascista in Alto Canavese fosse una delle più belle e nobili figure di magistrato antifascista e integerrimo, il dottor Domenico Peretti-Griva, allora Pretore di Cuorgnè. Le indagini non furono facili, ma l’esecutore materiale del delitto e chi diede ordine di sparare vennero tosto individuati: ambedue hanno dovuto da tempo rispondere dinanzi a Dio del loro delitto. Non riteniamo di far nomi: a Cuorgnè del resto noti.
Il Pretore spiccò mandato di cattura, che però la Polizia Giudiziaria, agli ordini diretti del Ministero degli Interni, non poté mai eseguire per evidenti ragioni politiche.
I funerali del Rebuffo furono quanto di più imponente si poté immaginare; e particolare degno di nota, moltissimi tra i presenti erano armati, pronti a rintuzzare qualsiasi intervento fascista. Tutto si svolse però nella più assoluta tranquillità, fra la commozione e la mestizia di tutta Cuorgnè.
Alla vedova del Rebuffo, dopo la Liberazione, è stata concessa dallo Stato una modesta pensione.
Quali i motivi del delitto? Si è parlato di dissapori personali, ma secondo i testimoni di allora sono da escludere. Gli stessi testimoni escludono il movente politico: il Rebuffo faceva parte del Circolo cattolico, ed al momento in cui fu ucciso recava il distintivo dell’Associazione: ma era una persona non rappresentativa, né in sede locale né tanto meno in campo provinciale. Era descritto come un uomo buono e devoto, generoso e gentile, alieno dalle polemiche, modesto, operoso: mai al delitto potrà essere dato un movente.
Il signor Pietro Cresto-Dina, amico fraterno del Rebuffo, prendendo la parola per commemorare, durante i funerali, il povero giovane disse tra l’altro: “Come cristiani perdoniamo, ma non dimenticheremo.” E possiamo ben dire che tutta Cuorgnè non ha dimenticato. Così come la piccola, dignitosa, fierissima Alpette.
Cuorgnè è rimasta per molto tempo una roccaforte dell’antifascismo: qui si plasmarono i giovani che hanno fatto di Cuorgnè la vera capitale della Resistenza canavesana così che ad ogni cambio di strada è dato d’imbattersi in lapidi che eternano la memoria di coloro che per la Resistenza intrepidamente si sacrificarono.
1 Commenti:
A Cuorgnè mi sono imbattuto nella lapide che ricorda Rebuffo incuriosito ho fatto una ricerca, grazie per la pillola di storia del territorio!
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